Che cosa avrebbe potuto trovare a Taxila (nell’attuale Pakistan) il
monaco-cavaliere Goffredo, giunto in quella zona nel XIV secolo, in
seguito alla deriva di una missione di ricerca richiesta dai potentati
di Acri?
I ruderi della città, la cui decadenza cominciò molti secoli
prima, compaiono, nel racconto, abitati da eremiti buddhisti e
vagabondi. Alcuni di questi uomini intrattengono conversazioni
filosofiche ma quello che più colpisce Goffredo sono alcune figure e
soluzioni decorative visibili nei palazzi in rovina invasi dalla
vegetazione. Questi elementi ricordano all’uomo un ché di familiare,
precisamente di «greco».
Prima che gli Unni e vari potentati indiani distruggessero la città,
Taxila era stata parte del regno Indo-greco che doveva le sue recondite
radici alle campagne condotte da Alessandro Magno nel IV secolo a. C.
Ebbene
sì, la presenza dei Macedoni nel mondo indiano non si esaurì con le
imprese del Grande Alessandro ma continuò nel periodo successivo, con la
conseguente fusione della cultura locale con quella ellenica e
determinando interessanti casi di sincretismo artistico, spiroituale,
politico. Anche Taxila fu protagonista di queste fertili circostanze.